Come una sorta di pietra miliare, il monolite che nell’antichità scandiva le distanze lungo le vie, questa scultura è stata concepita dall’artista abruzzese come un unico blocco da cui viene ricavata la forma che meglio si adatta all’originaria conformazione della pietra: per questo motivo, la figura stante e allungata sembra letteralmente avere continuità con la materia primigenia poiché questa le copre il capo senza una vera e propria soluzione di continuità con la sua fisionomia.
La donna rappresentata è l’antica divinità egizia Iside, dea della maternità e della fertilità, associata anche alla natura di tutte le cose e alla dignità regale. La sua statica ieraticità sembra rimandare al modo di raffigurare dell’antico Egitto, in base al quale ogni elemento della volumetria era rappresentato secondo un punto di vista bidimensionale. I piani semplificati, dunque, sono funzionali a rendere il senso dell’arte nilotica, dalla forte tendenza geometrica: gli attributi della dea sono rappresentati in bassorilievo e ricavati dalla sua stessa figura, come il cesto di primizie che porta con la mano sinistra, emblema di opulenza che porta la fertilità, e il cosiddetto tiet (o nodo isiaco), l’amuleto protettore della vita simbolo della convergenza tra esistenza terrena e celeste.
L’opera rimase senza un nome: il titolo Disterà antromorfa venne dato dall’on. Antonio Tancredi, presidente della Fondazione Crocetti, mentre Iside è il nome con cui l’opera è ricordata nel catalogo della mostra allestita nel 2013 a Palazzo Venezia di Roma (Venanzo Crocetti e il sentimento dell’antico a cura di Paola Goretti).
2013 Roma, Museo di Palazzo Venezia (mostra personale)
Venanzo Crocetti e il sentimento dell’antico. L’eleganza nel Novecento, catalogo della mostra (Roma, Museo di Palazzo Venezia, 2 settembre – 20 ottobre 2013) a cura di Paola Goretti, Roma 2013, n. 84.